| Posto alla velocità della luce!
Capitolo 6: Vie di Fuga
Notte in bianco numero due per Kate Beckett. Non aveva nemmeno provato a tornare a casa, nonostante il capitano Montgomery avesse di convincerla in tutti i modi. Ryan ed Esposito avevano deciso di rimanere a farle compagnia e, verso mezzanotte e mezza, era arrivata anche Lanie, con delle prelibatezze di cucina cinese. Anche se erano i suoi piatti preferiti, Kate non aveva toccato cibo. Aveva richiamato personalmente tutti gli ospedali della contea e, probabilmente, sarebbe anche uscita a parlare con coloro che risiedevano nella zona dove era stata rinvenuta la Ferrari, se non ci fossero stati i suoi amici a fermarla. Lanie era tornata a casa alle quattro meno un quarto, raccomandando, vanamente, a Kate di mangiare e di stare tranquilla. Esposito e Ryan si erano addormentati, l'uno sdraiato sul divano in sala relax, l'altro seduto sulla poltroncina davanti al suo computer. Ma Kate non riusciva a lasciarsi cullare da Morfeo come gli altri. L'unica persona da cui voleva essere cullata in quel momento era svanita nel nulla. Rimanendo sveglia a quell'ora, così poco lucida, non avrebbe ottenuto niente. Ma non voleva dormire. Continuava a fissare il display del suo cellulare, ripetendo ossessivamente nella testa:
Rick. Rick, chiama. Rick, perché non chiami? Ti prego, ti prego, Rick. Chiama.
Kate ha visto il sole sorgere su New York stamattina. Ma dentro di lei è ancora notte. Una notte caotica e scura come un black-out improvviso. Ryan ed Esposito si sono svegliati quasi contemporaneamente. Esposito ha ricominciato ad effettuare ricerche su Jeff Carson quasi a vanvera, giusto per dare una parvenza di normalità agli occhi di Kate. Ryan si è diretto verso la macchina Espresso (cacchio, quanto ricorda Castle!) per preparare un caffé per Kate. La detective l'ha ringraziato con un sorriso tirato. Dopo qualche minuto è arrivata Lanie, con due cornetti alla Nutella chiusi in un sacchetto di carta marrone. Kate ha bevuto il caffé, ma non ha mangiato, sebbene Lanie le avesse dato l'esempio. Verso le sette, Lanie è andata in obitorio per mettersi al lavoro. Kate è assente, continua a fissare il suo cellulare che le restituisce lo sguardo, muto.
-Beckett?
Montgomery si affaccia nell'ufficio.
-Signore. -Ti prego, vai a casa. -No, sono più utile qui. -Certamente non con quello sguardo mezzo addormentato. -La caffeina mi aiuterà a star meglio. -Ne dubito. Vai a casa. -Ma... -E' un ordine. Non ammetto repliche.
Kate, le palpebre sollevate a metà, gli occhi gonfi, il volto pallido, annuisce.
-Va bene. Grazie.
* * *
Rick apre gli occhi. Ha dormito. Sicuramente per molto tempo, ma non sa con esattezza per quanto. Deve fare un enorme sforzo per abituare gli occhi alla potente luce della stanza in cui si trova. Sulle prime non la riconosce. Poi ricorda. L'incidente. Rosalie. Storm. Jeff. Françoise. L'ascia. No, dev'essersi sbagliato. Dev'essere in qualche girone infernale dedicato agli scrittori che, pur lavorando con le parole, non riescono a dirle ad alta voce. Non può essere ancora vivo. Non dopo essere stato colpito da quell'ascia che sembrava appena uscita da Misery. Continua a guardarsi intorno. Sente uno strano formicolio al braccio sinistro. Come se gli stessero pizzicando il polso con delle piccole pinze. Ha sensibilità. E questo lo porta a credere che non sia morto. Lascia che gli occhi gli scivolino sul polso. Si preme la mano destra sulla bocca, in un vano tentativo di soffocare un urlo pronto ad esplodere. La sua mano sinistra. La sua mano sinistra. Dov'è? Cos'è quella benda che un tempo doveva essere stata bianca ma che adesso è vermiglia? Perché gli avvolge il polso? E dove diamine è andata a finire la sua mano sinistra? Le lacrime gli allagano gli occhi. Quel mostro avrebbe potuto tagliargli anche tutte e due le gambe, se avesse voluto. Ma le mani no. Le mani no.
-Ben svegliato.
Françoise sta entrando nella stanza bianca. Senza più la pashmina a filtrare le sue emozioni, l'espressione del volto di quella ragazza gli mette i brividi. Ricordava Françoise come una ragazza un po' stravagante, ma posata e semplice. Con i capelli scuri raccolti in due corte trecce ai lati della testa. Poteva essere definita graziosa. Niente a che vedere con quella donna dai capelli lisci e lunghi ben oltre le spalle, gli occhi lampeggianti di follia e un sorriso omicida sulle sue labbra rosse. In un'altra occasione, l'avrebbe definita bella. Ma adesso, l'unico aggettivo che riusce ad attribuirle è agghiacciante.
-Hai imparato la lezione, spero. -Che... -Ti ho tagliato una mano perché il suo lavoro non mi ha resa contenta. Ma quella mano, in fondo, non è essenziale. Perché tu sei destrorso. Giusto? -Sì. -Bene. Se mi deludi di nuovo, non puoi immaginare quale sorte potrà toccare alla tua mano destra.
Appunti per me: non far morire Nikki Heat. Nemmeno se mi pagassero il doppio.
Françoise lascia cadere sulle ginocchia di Rick qualcosa. Una risma di fogli e una penna. Lo scrittore solleva gli occhi con aria interrogativa verso Françoise.
-Diamo un finale accettabile a questa storia. Perché Derrick Storm non deve morire. Ok? -Ok. -Ripeti con me: Derrick Storm non deve morire. -Derrick Storm... -Più forte! -Derrick Storm non deve... -Più forte! Derrick Storm! Non deve! Morire!
* * *
Tornare a casa. Eggià. E per fare cosa? Dormire? Non se ne parla nemmeno! Kate lascia scivolare un dito sui dorsetti dei libri della sua biblioteca personale. Alcuni si sono salvati dall'esplosione dell'anno prima. Ne afferra uno a caso. Storm Fall - Richard Castle La loro prima indagine. Sorride a ricordare quanto dovesse sembrare ridicola a mascherare la sua adorazione per quell'uomo insolente e orrendamente affascinante con la sua maschera da dura. Beckett, non Kate. Va a sdraiarsi sul suo letto e scorre veloce le pagine fra le dita fino all'ultima.
Lei rimase immobile e incredula mentre la luce negli occhi del suo amato si spegneva. Lui allungò il braccio per accarezzarla e lei gli strinse la mano, per l'ultima volta. Sentì un dolore al petto e, in quel preciso momento, capì che lui era morto. In seguito calò il buio sull'intera città, e anche sul suo viso. "Bene", pensò, mentre il vento raccolse i suoi capelli, "nessuno vedrà le mie lacrime."
Nessuno vedrà le sue lacrime. Nessuno vedrà le mie lacrime. Nessuno vedrà... Nessuno...
Il cellulare vibra sul suo comodino. Deve essersi addormentata. Si sporge a guardare il display che, finalmente, si illumina.
Unknown is calling.
Allunga un braccio per afferrare il telefonino, che trema fra le sue dita. Preme il pulsante verde e porta il cellulare all'orecchio .
-Beckett.
* * *
La sfera della penna è sospesa a tre centimentri sopra il foglio. Riuscirà il nostro amico a far incontrare la sfera della penna e il foglio? No. Sicuramente no. Come caspita... Derrick Storm è morto. Non può farlo tornare in vita. E non può nemmeno farlo tornare indietro nel tempo per impedirgli di morire. Derrick Storm è morto. Defunto. Sepolto. Decomposto. Incenerito. Dissolto. E poi, come pretende quella donna che lui riesca a scrivere sapendo di aver appena perso la mano sinistra perché a lei il suo ultimo libro non era andato a genio? Potrebbe perdere anche la mano destra se non sta attento a quello che scrive.
Se mi deludi di nuovo, non puoi immaginare quale sorte potrà toccare alla tua mano destra.
Peggio dell'essere tagliata via? Oddio. La situazione è davvero tragica. Ma non riesce a scrivere in quelle condizioni, braccato su tutti i fronti, con il polso dolorante, la costante paura di perdere anche l'altra mano. O la vita. Il che sarebbe notevolmente peggio. E poi, la porta d'ingresso sbatte. Françoise è uscita. Rick rimane a letto. Aspetta per qualche minuto, in silenzio, per essere sicuro che lei sia andata via. Sì, è proprio andata via. Con la mano destra lascia scivolare la risma e la penna di lato e si solleva con una certa facilità dal letto. La schiena non gli fa più male. O forse, non se ne accorge perché ora è concentrato sul dolore al polso che, terminato l'effetto degli antidolorifici, è distruttivo. Dopo essersi allontanato di pochi passi, si volta a guardare il letto. Il lenzuolo è intriso di sangue. Perde sangue dal moncherino. Molto sangue. Probabilmente lascerà una traccia sul pavimento lungo tutto il percorso che effettuerà passeggiando per casa. E affretterebbe la sua morte. La testa gli esplode: non riesce a pensare più a niente senza prefigurarsi le prospettive più catastrofiche. Che sono anche le più realistiche. Cerca di schiarirsi la mente, per quanto possibile. Tentare di uscire dalla porta di servizio sarebbe inutile perché è chiusa a chiave. In cantina non ci metterà più piede finché non sarà strettamente necessario. L'unica è la porta d'ingresso. Poi passerà alle finestre. Si dirige in salotto. La stanza è buia a causa dei tendaggi scuri e pesanti, ma il sole non è ancora tramontato del tutto e riesce a scorgere i contorni dei mobili e degli oggetti. E anche la porta. Non riesce a credere di avercela quasi fatta. Poggia la mano sulla maniglia e la abbassa. Ma non sente nessuno scatto. La abbassa un'altra volta, e poi un'altra ancora. Niente, porca miseria. E' chiusa a chiave. Può anche considerarsi morto. Rick torna sui suoi passi, affondando le dita dei piedi nelle gocce di sangue che ha lasciato sul pavimento della casa. E poi, davanti ad i suoi occhi, si profila una nuova speranza di salvezza. Un telefono fisso. Si avventa sulla cornetta e la porta all'orecchio. C'è linea. C'è linea. Il Signore sia ringraziato! Infila la cornetta tra l'orecchio e la spalla e compone alla velocità della luce un numero di telefono. Lo ricorda a memoria perché è quello di una persona importante. Quello della donna che ama. Uno squillo. Due squilli. Tre squilli. E lo scatto della risposta.
-Beckett.
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